Il 31 di agosto, mentre ero “in coda sull’Adriatica” (per citare io mio amato Vasco Brondi) di ritorno dalla Puglia, ho ricevuto il messaggio di una persona a cui sono molto legata che mi segnalava di un’offerta di lavoro in un’agenzia di comunicazione e marketing. “Se sei interessata domani mattina ti chiamo così ti spiego di che cosa si tratta e poi se vuoi fissi un colloquio.” recitava il messaggio. Era mia intenzione cercare un lavoro per i mesi invernali. Non mi andava più di fare saltuariamente babysitting o ripetizioni, ma mi sarei accontentata di preparare i caffè in un bar o di strappare i biglietti al cinema. Una cosa piccola che mi rendesse indipendente senza rubare tempo prezioso allo studio. Chiaramente quindi, per me che di marketing vorrei vivere, la parola “agenzia” è apparsa un’oasi felice. Il colloquio, qualora qualcuno se lo stesse domandando, l’ho fatto ed è andato bene. Non v’immaginate però che io mi occupi di chissà quali strategie di comunicazione. Le mie mansioni sono prettamente esecutive e di supporto alla segreteria (faccio e ricevo milioni di telefonate, preparo pacchi contenenti kit per campagne pubblicitarie, compilo file excel…). Eppure, in questo primo mese e mezzo in Connect Group, ho imparato tanto.
Provo a riassumere qui.
Il senso del dovere. Sarà banale per chi lavora da anni, ma per me che eccetto un breve stage in azienda e qualche oretta ad accudire bambini non ho mai avuto un impiego, è una illuminante verità. L’imposizione di orari e faccende da sbrigare costringe ad assumere nel proprio piccolo delle responsabilità. Non puoi rimandare a domani, non puoi fare quello che ti va.
La gestione del tempo. Lavorare (sopratutto per altri) non solo implica puntualità, ma anche buona gestione del tempo a disposizione. Il lavoro riduce le ore per svago e per lo studio. A queste si aggiungono quelle per seguire le lezioni in Università. Il risultato è che le mie giornate sono densissime e prive di pause. Questa condizione mi piace, mi fa sentire viva, ma al contempo mi obbliga a fare i giusti incastri. E a ringraziare il Cielo quando arriva il week end.
Se non provi non sai se ti piacerà. L’agenzia dove lavoro si occupa prevalentemente di campagne rivolte a bambini e adolescenti. Io, lo ribadisco, non ho alcun potere decisionale lì però ho una visione complessiva dei brand con cui lavoriamo e delle strategie che vengono adottate per questi target. Amo il marketing eppure ho scoperto di detestare la pubblicità per ragazzini. Detesto doverli immaginare come consumatori a cui vendere giocattoli, figurine e pupazzetti. Ci sono settori che mi attraggono più di altri e frequentare questo ambiente mi ha aiutato a capirlo. Se avessi cercato per davvero lavoro in un bar o in un cinema forse ci avrei messo molto di più ad appurarlo. Di certo quando finirò il corso di laurea magistrale saprò con maggiore certezza a chi inviare il mio CV.
Pazienza ed un briciolo di faccia tosta. Odio parlare al telefono. E’ una cosa che mi imbarazza. Mando vocali da far invidia a Tommaso Paradiso, scrivo messaggi chilometrici, mi confido in post pubblici su Instagram, ma non chiamo mai nessuno. Al lavoro invece devo parlare al telefono, tanto. Devo approcciarmi con cortesia, confrontarmi con professionisti e risultare competente e sicura. Questo lavoro allora mi ha insegnato ad essere paziente, gentile e un po’ spavalda. Se considerate che nei week end poi indosso un grembiule e me ne vado in giro a raccontare di torte e fiori a gente curiosa e impaziente d’imparare, bisogna riconoscere che negli ultimi tempi sto seriamente facendo pace con l’arte del public speaking. Non male.
La bellezza di stare offline. Va da sè che se sono in ufficio non posso starmene al telefono guardando le esilaranti avventure di Annie Mazzola nel mondo della Moda (se non sapete di che parlo, rimediate ADESSO!). Il lavoro mi costringe a stare per qualche ora completamente sconnessa (quantomeno dai miei canali social) e ci sono alcune mansioni che non richiedono troppo impegno mentale che mi consentono dunque di viaggiare moltissimo con la fantasia. L’idea per questo post, ad esempio, mi è venuta in mente un pomeriggio mentre impacchettavo card autografate e action figure di Star Wars per i vincitori di un concorso a premi indetto da Disney .
L’importante è il viaggio, non la destinazione. Frasi fatte a parte, il tragitto in metropolitana che mi separa dall’agenzia (in macchina ci metterei un quarto d’ora, con i mezzi impiego 45 minuti e va benissimo così) è formativo tanto quanto il lavoro in sè. Cerco ancora una volta di non imbambolarmi al telefono. Preferisco piuttosto ascoltare la musica ed osservare la gente. Osservare le persone, scrutare gli abbinamenti dei vestiti, innamorarmi puntualmente del castano ricciolino con barba di turno, provare ad indovinare professione e vita di chi sta seduto accanto a me è uno dei miei hobby preferiti ed è un meraviglioso esercizio per l’immaginazione. Fa benissimo alla creatività. Provare per credere.
Ode alla pausa caffè. Amo il caffè, ma non è questo il punto. Il punto è che nella pausa a metà mattina nascono sempre conversazioni interessanti ed arricchenti. Cerco di sfruttare quel tempo per confrontarmi con il mio capo e la sua socia (due donne in gamba e con un mare di esperienza). Quando non ci scambiamo ricette di dolci in genere mi faccio raccontare come hanno iniziato questa attività, come hanno fatto a trovare i clienti, quali sono stati gli esami universitari che hanno trovato particolarmente ostici e quali difficoltà s’incontrano a lavorare nel marketing e nella comunicazione. Non vengo coinvolta nella fase di progettazione e strategia delle campagne pubblicitarie, ma prendere un caffè insieme al momento si rivela un buon ripiego.
Il senso di sfida. Lavorare e sfruttare il proprio piccolo guadagno per far crescere un progetto creativo e per godere del tempo libero (i soldi per migliorare il sito, stampare i biglietti da visita, acquistare il materiale riutilizzabile per i workshop, accaparrasi cazzatine al mercato dell’antiquariato della domenica, farmi un bicchiere di vino con i miei amici arrivano tutti da lì) regalano una meravigliosa e confortante sensazione d’indipendenza. Conciliare lavoro, studio e Tortecoifiori è una sfida costante con me stessa, soprattutto con la parte più ritardataria e dormigliona di me.
Ecco qui. Le Tortecoifiori s’ispirano sempre a quel che mi accade attorno. Musica, libri, quadri, ma anche momenti di vita ordinaria. Mi sembra dunque doveroso in qualche modo raccontarvi quello che mi succede quando non sono in cucina tra nuvole di zucchero a velo e panetti di burro. La mia vita non è tutta poesia e io vorrei trasformare la pubblicazione di questo genere di post in un appuntamento fisso per raccontarvi gioie e difficoltà di gestire in autonomia l’attivitàcoifiori e di farla convivere con tutto il resto. Mi capita di ricevere messaggi di chi avrebbe voglia di avviare un progetto proprio sfruttando i social per comunicarlo, ma non sa da dove iniziare. Io non lo so da dove si inizia, ma posso usare questo blog come fosse un diario per lasciare traccia di quello che sto imparando lungo il cammino.
Buona giornata.